Tinder e altre app sono state trascinate in tribunale: incoraggerebbero l’uso compulsivo delle piattaforme a discapito degli utenti.
Molti di noi hanno avuto brutte esperienze sulle app di incontri su Internet, ma pochi hanno mai pensato di portare il loro cuore spezzato in tribunale. E invece, il giorno di San Valentino sei utenti di piattaforme di appuntamenti romantici hanno presentato una proposta di azione legale collettiva. Sotto accusa sono finiti Tinder, Hinge e altre applicazioni accusate di utilizzare funzionalità che creano dipendenza e incoraggiano l’uso compulsivo.
Le app incriminate, secondo la causa intentata presso il tribunale federale del distretto settentrionale della California, “impiegano caratteristiche di prodotto riconosciute che manipolano la dopamina” per trasformare gli utenti in “giocatori d’azzardo bloccati nella ricerca di ricompense psicologiche”, generando “successo di mercato fomentando la dipendenza da app di appuntamenti che porta ad abbonamenti costosi e all’uso incessante”. Linguaggio burocratico a parte, la vicenda rischia di diventare una vera e propria valanga con effetti a cascata anche nel resto del mondo, Italia compresa.
Secondo gli esperti di appuntamenti online, l’accusa accende i riflettori su come le app stanno “gamificando” l’esperienza umana a scopo di lucro, manipolano in un certo qual modo gli utenti. “Non sono affatto sorpreso che si sia arrivati a un contenzioso. Penso che i Big Tech siano il nuovo oppio dei popoli. Gli smartphone, del resto, creano dipendenza quanto le sigarette”, ha dichiarato Mia Levitin, autrice di The Future of Seduction.
Probabilmente la dipendenza è un rischio congenito nelle app di appuntamenti. Jonathan Badeen, co-fondatore di Tinder e inventore del meccanismo di scorrimento, ha ammesso che è stato ispirato dai classici esperimenti di BF Skinner con i piccioni, che inducevano i volatili affamati a credere che il cibo distribuito casualmente su un vassoio fosse la risposta al loro beccare. “Le app di appuntamenti sono concepite proprio in funzione dell’obiettivo di spingerci a continuare a giocare“, rimarca Levitin. Natasha Dow Schüll, antropologa culturale e autrice di Addiction by Design, ha addirittura paragonato le app di appuntamenti alle slot machine.
Il problema è che le app di appuntamenti cambiano il modo di agire degli individui utilizzando tecniche di scienza comportamentale, sostiene Lee MacKinnon, docente presso il London College of Communication con un dottorato di ricerca proprio sulla gamification delle app di appuntamenti. “Le persone si sentono profondamente ingannate quando sono indotte a credere che questi siti agiscano nel loro interesse, ma in realtà servono ad arricchire le società a cui fanno capo. Siamo diventati il prodotto e la nostra vita personale, la nostra vita amorosa, i nostri dettagli più intimi sono capitalizzati, sono merci“.
C’è da dire poi che le app di appuntamenti rendono disponibili prospettive romantiche 24 ore su 24. Un recente sondaggio ha suggerito che i millennial trascorrono 10 ore alla settimana sulle app di appuntamenti. Luke Brunning, docente di filosofia presso l’Università di Leeds che ha studiato l’etica degli appuntamenti online, ha affermato che lo “scorrimento infinito compulsivo sui social media” ha “un impatto negativo sulla salute mentale”. A suo dire, le piattaforme potrebbero introdurre miglioramenti, tra cui una maggiore trasparenza sugli algoritmi di corrispondenza, e informare gli utenti sulle insidie degli appuntamenti online, punire il ghosting e lo scorrimento compulsivo con delle pause forzate e degli alert. Forse, chissà, la causa appena intentata porterà a queste e altre novità…
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